Pubblicato Lunedì 11 marzo 2024
DCA: l'importanza di una equipe multidisciplinare
Parola ai professionisti
DCA: l'importanza di una equipe multidisciplinare
I disturbi dell'alimentazione sono patologie complesse che richiedono l'intervento di diverse figure professionali che siano in grado di effettuare una valutazione diagnostica multidisciplinare, in modo da affrontare la problematica psicopatologica specifica e l'eventuale comorbilità psichiatrica, nutrizionale o internistica, senza dimenticare la dimensione sociale necessaria al mantenimento dello stato di benessere della persona.
Tra le figure professionali coinvolte troviamo psicologi clinici, psicoterapeuti, psichiatri, nutrizionisti, educatori, fisioterapisti ed infermieri, che andranno a comporre l'equipe di intervento per il disturbo alimentare.
L'elemento rilevante che caratterizza questa equipe è la sua capacità di impostare un lavoro sinergico tra le varie figure professionali, mantenendo la stessa linea di pensiero e lo stesso linguaggio comune con i pazienti.
Diviene fondamentale, quindi, organizzare riunioni d'equipe per strutturare questi interventi nella maniera migliore possibile, migliorare la coesione tra i professionisti e, se necessario, pianificare supervisioni con esperti esterni sulla tematica in questione.
Solitamente il livello ambulatoriale è il primo livello di intervento dei disturbi legati all'alimentazione.
Tra gli altri livelli di intervento che possiamo trovare c'è il livello di terapia ambulatoriale specialistica, il livello di terapia intensiva come per esempio un Day Hospital, il livello di riabilitazione residenziale presso strutture specializzate e, infine, il ricovero in casi più gravi.
Ricorre il 15 marzo la Giornata Nazionale del “Fiocchetto Lilla” contro i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): un’occasione preziosa per aumentare la consapevolezza e la comprensione sui disturbi del comportamento alimentare e per sostenere le persone che ne soffrono.
Proprio in occasione di questa data importante, alcuni dei nostri professionisti hanno elaborato un testo per informare e sensibilizzare, condividendo con il pubblico le loro riflessioni e la loro esperienza.
Parola ai professionisti.
"Che cosa si intende per senso di vuoto ed è necessario colmarlo ai fini della sopravvivenza?
Non un argomento di facile interpretazione, ma il senso di vuoto non è così inusuale incontrarlo in psicologia clinica.
Pensiamo ad esempio a persone con umore in deflessione: nella maggior parte dei casi ci racconteranno di una mancanza nelle loro vite e di una impossibilità nell'affrontare situazioni. In questo caso c'è, quindi, una impossibilità di colmare il vuoto esistente; in altri casi, invece, possiamo assistere ad un colmare il vuoto con compensazioni “patologiche”.
Prendiamo, per esempio, una persona che pur di non affrontare la solitudine instaura relazioni sentimentali non sane, tossiche per intenderci; oppure pensiamo alla dipendenza da sostanze o alcolici e di come queste vadano a compensare una mancanza o un bisogno non soddisfatto nella persona.
Si potrebbe ipotizzare, quindi, che come per altre patologie anche i disturbi legati all'alimentazione siano legati, compensando o meno col cibo, a non sentire un senso di vuoto, un senso di qualcosa che immaginiamo non ci sia nella nostra realtà.
Ma il senso di vuoto è realmente insostenibile oppure con i giusti “insegnamenti” possiamo imparare a guardarlo, per iniziare, e magari col tempo imparare a camminare e starci in questo senso di vuoto?
Io credo, come scrivevo nelle righe precedenti, che le equipe multidisciplinari possano essere realmente utili a fornire strumenti che mancano nella vita delle persone affette da patologie al fine di rendere queste ultime autonome e consapevoli di se stesse."
Dott. Paolo Ammendola, psicologo e psicoterapeuta
"Ogni giorno le riviste e le trasmissioni televisive danno consigli su cosa e quanto mangiare, spesso demonizzando interi gruppi alimentari, come quello dei grassi e degli zuccheri, o alimenti specifici come la pasta e il burro.
Allo stesso tempo, sui social, vengono condivise centinaia di immagini di corpi perfetti, spesso modificati o in posa, ed è sempre più diffuso il trend 'what I eat in a day' cioè la pratica di condividere foto dei cibi che si mangiano in un giorno, portando inevitabilmente a confronti pericolosi.
Tutto questo può influenzare le persone, soprattutto i più giovani, generando inadeguatezza, insoddisfazione per il proprio corpo e l'interiorizzazione di un ideale di magrezza che possono aumentare il rischio di intraprendere diete restrittive e comportamenti alimentari non salutari.
Questi fattori, in associazione a fattori genetici e di vissuto personale, possono portare alla comparsa di disturbi del comportamento alimentare.
Dal punto di vista nutrizionale è importante agire, non solo nel trattamento dei disturbi conclamati ma anche nella loro prevenzione, promuovendo e creando abitudini e comportamenti alimentari equilibrati rispetto ai fabbisogni del corpo, lavorare sui cibi considerati sicuri e su quelli fobici, sfatando gradualmente i falsi miti, le regole dietetiche e le pressioni imposte della cultura della dieta per guidare la persona nel riconoscere quali sono i suoi personali bisogni e dare loro una risposta anche attraverso l'alimentazione, il movimento e la cura di sé.
Quello che però fa la differenza è l'approccio integrato che vede coinvolti più professionisti sanitari, indispensabile per accompagnare le persone verso un percorso di riabilitazione e per sviluppare e rinforzare abilità e strumenti che possano fare da carburante durante tutto il processo di guarigione."
Dott.ssa Alessandra Spina, biologa nutrizionista
"Mi occupo di disturbi del comportamento alimentare da circa 15 anni e ho iniziato presso Istituto Auxologico di Milano e Piancavallo.
Specificamente mi occupo di BED, che altro non è se non bulimia senza alcuna condotta di compensazione, quale vomito o lassativi.
Ho seguito quasi sempre pazienti donne , adulte. L’ipotesi alla base della mia prassi clinica è che ci sia una componente dissociativa nei pazienti BED.
L'abbuffata rappresenta un tentativo estremo di fuga ,una difesa di cui il paziente è completamente inconsapevole, rispetto a emergenti stati emotivi potenzialmente ingestibili.
L’assunto di base è che l’essere umano è disposto a mettere in atto qualunque tentativo difensivo pur di evitare stati annichilenti di angoscia.
Per aiutare i pazienti Bed mi focalizzo quindi non tanto sul sintomi, ineliminabili sino a che non si risolve la struttura dissociativa, ma sulla storia spesso costellata di traumi relazionali del paziente stesso. Il tentativo è quello di costruire un ponte tra la parte ben integrata e quella dissociata."
Dott.ssa Elena Falda, psicologa e psicoterapeuta
"Praticare l’ascolto verso noi stessi, le nostre sensazioni, le nostre emozioni e l’osservazione dei nostri pensieri può farci riscoprire una sana relazione col cibo e con il nostro corpo.
Il cibo è un piacere oltre che un nutrimento, possiamo godere di ciò che mangiamo e allo stesso tempo rimanere consapevoli dei segnali fisiologici di fame e sazietà che ci indicano quando smettere di mangiare, senza che tutto ciò sia governato dal controllo, da costrizioni e da stress.
Talvolta, si può sviluppare un rapporto conflittuale con il cibo, la cui causa può essere multifattoriale e “antica”, ritrovandosi così in balìa di spinte di avvicinamento e allontanamento, il cibo può diventare fonte di disagio e stress e non viene più ad identificarsi con un principio nutritivo, andando incontro a ciò che chiamiamo fame emotiva.
In questi casi, a favorire la spinta a mangiare non è più il nutrimento, ma il controllo delle emozioni, che può sfociare in una compulsività ingestibile, deleteria al punto da strutturarsi in un disturbo conclamato: può verificarsi una disconnessione dai segnali corporei legati all’assunzione del cibo e il nostro comportamento alimentare risulta guidato, in maniera sbilanciata e anomala, da stimoli esterni e da un’interpretazione distorta di quelli interni quali pensieri ed emozioni.
In sintesi, non è più la nostra saggezza interna, quella di cui il nostro corpo è naturalmente dotato, a indicarci quando mangiare.
La Mindfulness, la pratica di consapevolezza basata sulla meditazione, può essere un valido aiuto: ricevendo una grande attenzione scientifica, e conseguente dimostrazione di efficacia in molteplici contesti, è stata integrata in numerosi protocolli in ambito clinico e in quello della salute e del benessere.
Da qui si è diffuso il concetto di mindful eating, che ha ispirato e continua ad ispirare numerosi programmi rivolti alla consapevolezza alimentare con ricadute benefiche ad ampio raggio, portando clinici e ricercatori alla validazione di un protocollo specifico per intervenire nello sviluppo della consapevolezza del comportamento alimentare: il programma MB-EAT, “Mindfulness-Based Eating Awareness Training” (MB-EAT, Kristeller & Hallett, 1999; Kristeller & Wolver, 2011).
L’obiettivo primario dell’ MB-EAT è quello di ri-regolare l’equilibrio tra fattori fisiologici e quelli non nutrizionali (culturali, sociali, etc.) che guidano il comportamento alimentare.
Il monitoraggio metacognitivo, e potremmo aggiungere anche “meta-emotivo”, in uno spazio di apertura, gentilezza e non-giudizio, può permetterci di ripristinare un sano comportamento alimentare, è un’abilità che, propria di ogni persona in misura diversa, può essere incrementata attraverso un training basato sulla mindfulness, i cui concetti di saggezza interna, auto-accettazione e gentilezza diventano centrali nei percorsi di consapevolezza del comportamento alimentare, unendosi ad un’educazione alimentare basata su esercizi di mindful eating, atti a ripristinare la riconnessione ai segnali fisiologici di fame e sazietà: l’obiettivo diventa l’autoregolazione e l’equilibrio tra stimoli interni ed esterni, attraverso un apprendimento esperienziale che sposta l’attenzione dal controllo alla consapevolezza.
Riscoprire il piacere del nutrimento è possibile, la sintonizzazione con i propri stati interni, e il loro equilibrio con gli stimoli provenienti dall’ambiente che ci circonda, può essere coltivato giorno dopo giorno, momento dopo momento, fino a raggiungere tale riscoperta, ritrovando un benessere globale che ripristinare l’originaria motivazione ad interagire con il cibo in maniera sana ed equilibrata, senza rinunce e senza stress, amandoci a tutto tondo per come siamo ora, nel qui e ora, senza aspettare di diventare qualcos’altro, o qualcun’altro, prima di rivolgerci amore incondizionato, ed è questa la strada che può aprirci, poi, ad ogni tipo di cambiamento auspicabile."
Dott.ssa Angela Persico, psicologa del benessere e insegnante di Mindfulness
"In Medicina Tradizionale Cinese quando si fa riferimento ai disturbi del comportamento alimentare si prendono in causa due sindromi: una da deficit e una da eccesso.
In maniera più specifica, la richiesta continua di cibo indica calore a livello dello stomaco, la mancanza di appetito parla di deficit di energia a livello della milza, gonfiore post prandiale mette in evidenza una stasi di cibo o umidita, la preferenza di cibi caldi ci parla di sindrome da freddo mentre la preferenza di cibi freddi indica una sindrome da calore.
Per lavorare sul riequilibrio di questo quadro patologico è necessario inquadrare la persona da un punto di vista costituzionale e non solo sintomatico e utilizzare tutto il sistema di riequilibrio che la medicina cinese mette a disposizione.
Questo passa per la valutazione della natura dei cibi, del loro sapore, della loro cottura, delle emozioni con cui l'individuo si approccia al cibo e della consapevolezza con cui li consuma.
Da un punto di vista personale dopo aver valutato il soggetto da un punto di vista costituzionale attraverso l'osservazione della sua morfologia, dei segni sul suo volto, della lingua, dell'iride, delle sue risposte neuromuscolari attraverso la kinesiologia applicata, propongo consigli alimentari, fitoterapici, floriterapici, aromaterapia, trattamenti di riflessologia plantare e auricoloterapia, sedute di yoga e meditazione terapeutica che ritengo essere più indicate in quel preciso momento per quel particolare soggetto."
Ramona Frisoni, naturopata e insegnante di yoga
Insieme possiamo fare veramente la differenza ed essere di supporto continuo e costante per gli utenti che ogni giorno si rivolgono a noi.
Non abbiate paura a chiedere aiuto.
I disturbi dell'alimentazione sono patologie complesse che richiedono l'intervento di diverse figure professionali che siano in grado di effettuare una valutazione diagnostica multidisciplinare, in modo da affrontare la problematica psicopatologica specifica e l'eventuale comorbilità psichiatrica, nutrizionale o internistica, senza dimenticare la dimensione sociale necessaria al mantenimento dello stato di benessere della persona.
Tra le figure professionali coinvolte troviamo psicologi clinici, psicoterapeuti, psichiatri, nutrizionisti, educatori, fisioterapisti ed infermieri, che andranno a comporre l'equipe di intervento per il disturbo alimentare.
L'elemento rilevante che caratterizza questa equipe è la sua capacità di impostare un lavoro sinergico tra le varie figure professionali, mantenendo la stessa linea di pensiero e lo stesso linguaggio comune con i pazienti.
Diviene fondamentale, quindi, organizzare riunioni d'equipe per strutturare questi interventi nella maniera migliore possibile, migliorare la coesione tra i professionisti e, se necessario, pianificare supervisioni con esperti esterni sulla tematica in questione.
Solitamente il livello ambulatoriale è il primo livello di intervento dei disturbi legati all'alimentazione.
Tra gli altri livelli di intervento che possiamo trovare c'è il livello di terapia ambulatoriale specialistica, il livello di terapia intensiva come per esempio un Day Hospital, il livello di riabilitazione residenziale presso strutture specializzate e, infine, il ricovero in casi più gravi.
Ricorre il 15 marzo la Giornata Nazionale del “Fiocchetto Lilla” contro i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): un’occasione preziosa per aumentare la consapevolezza e la comprensione sui disturbi del comportamento alimentare e per sostenere le persone che ne soffrono.
Proprio in occasione di questa data importante, alcuni dei nostri professionisti hanno elaborato un testo per informare e sensibilizzare, condividendo con il pubblico le loro riflessioni e la loro esperienza.
Parola ai professionisti.
"Che cosa si intende per senso di vuoto ed è necessario colmarlo ai fini della sopravvivenza?
Non un argomento di facile interpretazione, ma il senso di vuoto non è così inusuale incontrarlo in psicologia clinica.
Pensiamo ad esempio a persone con umore in deflessione: nella maggior parte dei casi ci racconteranno di una mancanza nelle loro vite e di una impossibilità nell'affrontare situazioni. In questo caso c'è, quindi, una impossibilità di colmare il vuoto esistente; in altri casi, invece, possiamo assistere ad un colmare il vuoto con compensazioni “patologiche”.
Prendiamo, per esempio, una persona che pur di non affrontare la solitudine instaura relazioni sentimentali non sane, tossiche per intenderci; oppure pensiamo alla dipendenza da sostanze o alcolici e di come queste vadano a compensare una mancanza o un bisogno non soddisfatto nella persona.
Si potrebbe ipotizzare, quindi, che come per altre patologie anche i disturbi legati all'alimentazione siano legati, compensando o meno col cibo, a non sentire un senso di vuoto, un senso di qualcosa che immaginiamo non ci sia nella nostra realtà.
Ma il senso di vuoto è realmente insostenibile oppure con i giusti “insegnamenti” possiamo imparare a guardarlo, per iniziare, e magari col tempo imparare a camminare e starci in questo senso di vuoto?
Io credo, come scrivevo nelle righe precedenti, che le equipe multidisciplinari possano essere realmente utili a fornire strumenti che mancano nella vita delle persone affette da patologie al fine di rendere queste ultime autonome e consapevoli di se stesse."
Dott. Paolo Ammendola, psicologo e psicoterapeuta
"Ogni giorno le riviste e le trasmissioni televisive danno consigli su cosa e quanto mangiare, spesso demonizzando interi gruppi alimentari, come quello dei grassi e degli zuccheri, o alimenti specifici come la pasta e il burro.
Allo stesso tempo, sui social, vengono condivise centinaia di immagini di corpi perfetti, spesso modificati o in posa, ed è sempre più diffuso il trend 'what I eat in a day' cioè la pratica di condividere foto dei cibi che si mangiano in un giorno, portando inevitabilmente a confronti pericolosi.
Tutto questo può influenzare le persone, soprattutto i più giovani, generando inadeguatezza, insoddisfazione per il proprio corpo e l'interiorizzazione di un ideale di magrezza che possono aumentare il rischio di intraprendere diete restrittive e comportamenti alimentari non salutari.
Questi fattori, in associazione a fattori genetici e di vissuto personale, possono portare alla comparsa di disturbi del comportamento alimentare.
Dal punto di vista nutrizionale è importante agire, non solo nel trattamento dei disturbi conclamati ma anche nella loro prevenzione, promuovendo e creando abitudini e comportamenti alimentari equilibrati rispetto ai fabbisogni del corpo, lavorare sui cibi considerati sicuri e su quelli fobici, sfatando gradualmente i falsi miti, le regole dietetiche e le pressioni imposte della cultura della dieta per guidare la persona nel riconoscere quali sono i suoi personali bisogni e dare loro una risposta anche attraverso l'alimentazione, il movimento e la cura di sé.
Quello che però fa la differenza è l'approccio integrato che vede coinvolti più professionisti sanitari, indispensabile per accompagnare le persone verso un percorso di riabilitazione e per sviluppare e rinforzare abilità e strumenti che possano fare da carburante durante tutto il processo di guarigione."
Dott.ssa Alessandra Spina, biologa nutrizionista
"Mi occupo di disturbi del comportamento alimentare da circa 15 anni e ho iniziato presso Istituto Auxologico di Milano e Piancavallo.
Specificamente mi occupo di BED, che altro non è se non bulimia senza alcuna condotta di compensazione, quale vomito o lassativi.
Ho seguito quasi sempre pazienti donne , adulte. L’ipotesi alla base della mia prassi clinica è che ci sia una componente dissociativa nei pazienti BED.
L'abbuffata rappresenta un tentativo estremo di fuga ,una difesa di cui il paziente è completamente inconsapevole, rispetto a emergenti stati emotivi potenzialmente ingestibili.
L’assunto di base è che l’essere umano è disposto a mettere in atto qualunque tentativo difensivo pur di evitare stati annichilenti di angoscia.
Per aiutare i pazienti Bed mi focalizzo quindi non tanto sul sintomi, ineliminabili sino a che non si risolve la struttura dissociativa, ma sulla storia spesso costellata di traumi relazionali del paziente stesso. Il tentativo è quello di costruire un ponte tra la parte ben integrata e quella dissociata."
Dott.ssa Elena Falda, psicologa e psicoterapeuta
"Praticare l’ascolto verso noi stessi, le nostre sensazioni, le nostre emozioni e l’osservazione dei nostri pensieri può farci riscoprire una sana relazione col cibo e con il nostro corpo.
Il cibo è un piacere oltre che un nutrimento, possiamo godere di ciò che mangiamo e allo stesso tempo rimanere consapevoli dei segnali fisiologici di fame e sazietà che ci indicano quando smettere di mangiare, senza che tutto ciò sia governato dal controllo, da costrizioni e da stress.
Talvolta, si può sviluppare un rapporto conflittuale con il cibo, la cui causa può essere multifattoriale e “antica”, ritrovandosi così in balìa di spinte di avvicinamento e allontanamento, il cibo può diventare fonte di disagio e stress e non viene più ad identificarsi con un principio nutritivo, andando incontro a ciò che chiamiamo fame emotiva.
In questi casi, a favorire la spinta a mangiare non è più il nutrimento, ma il controllo delle emozioni, che può sfociare in una compulsività ingestibile, deleteria al punto da strutturarsi in un disturbo conclamato: può verificarsi una disconnessione dai segnali corporei legati all’assunzione del cibo e il nostro comportamento alimentare risulta guidato, in maniera sbilanciata e anomala, da stimoli esterni e da un’interpretazione distorta di quelli interni quali pensieri ed emozioni.
In sintesi, non è più la nostra saggezza interna, quella di cui il nostro corpo è naturalmente dotato, a indicarci quando mangiare.
La Mindfulness, la pratica di consapevolezza basata sulla meditazione, può essere un valido aiuto: ricevendo una grande attenzione scientifica, e conseguente dimostrazione di efficacia in molteplici contesti, è stata integrata in numerosi protocolli in ambito clinico e in quello della salute e del benessere.
Da qui si è diffuso il concetto di mindful eating, che ha ispirato e continua ad ispirare numerosi programmi rivolti alla consapevolezza alimentare con ricadute benefiche ad ampio raggio, portando clinici e ricercatori alla validazione di un protocollo specifico per intervenire nello sviluppo della consapevolezza del comportamento alimentare: il programma MB-EAT, “Mindfulness-Based Eating Awareness Training” (MB-EAT, Kristeller & Hallett, 1999; Kristeller & Wolver, 2011).
L’obiettivo primario dell’ MB-EAT è quello di ri-regolare l’equilibrio tra fattori fisiologici e quelli non nutrizionali (culturali, sociali, etc.) che guidano il comportamento alimentare.
Il monitoraggio metacognitivo, e potremmo aggiungere anche “meta-emotivo”, in uno spazio di apertura, gentilezza e non-giudizio, può permetterci di ripristinare un sano comportamento alimentare, è un’abilità che, propria di ogni persona in misura diversa, può essere incrementata attraverso un training basato sulla mindfulness, i cui concetti di saggezza interna, auto-accettazione e gentilezza diventano centrali nei percorsi di consapevolezza del comportamento alimentare, unendosi ad un’educazione alimentare basata su esercizi di mindful eating, atti a ripristinare la riconnessione ai segnali fisiologici di fame e sazietà: l’obiettivo diventa l’autoregolazione e l’equilibrio tra stimoli interni ed esterni, attraverso un apprendimento esperienziale che sposta l’attenzione dal controllo alla consapevolezza.
Riscoprire il piacere del nutrimento è possibile, la sintonizzazione con i propri stati interni, e il loro equilibrio con gli stimoli provenienti dall’ambiente che ci circonda, può essere coltivato giorno dopo giorno, momento dopo momento, fino a raggiungere tale riscoperta, ritrovando un benessere globale che ripristinare l’originaria motivazione ad interagire con il cibo in maniera sana ed equilibrata, senza rinunce e senza stress, amandoci a tutto tondo per come siamo ora, nel qui e ora, senza aspettare di diventare qualcos’altro, o qualcun’altro, prima di rivolgerci amore incondizionato, ed è questa la strada che può aprirci, poi, ad ogni tipo di cambiamento auspicabile."
Dott.ssa Angela Persico, psicologa del benessere e insegnante di Mindfulness
"In Medicina Tradizionale Cinese quando si fa riferimento ai disturbi del comportamento alimentare si prendono in causa due sindromi: una da deficit e una da eccesso.
In maniera più specifica, la richiesta continua di cibo indica calore a livello dello stomaco, la mancanza di appetito parla di deficit di energia a livello della milza, gonfiore post prandiale mette in evidenza una stasi di cibo o umidita, la preferenza di cibi caldi ci parla di sindrome da freddo mentre la preferenza di cibi freddi indica una sindrome da calore.
Per lavorare sul riequilibrio di questo quadro patologico è necessario inquadrare la persona da un punto di vista costituzionale e non solo sintomatico e utilizzare tutto il sistema di riequilibrio che la medicina cinese mette a disposizione.
Questo passa per la valutazione della natura dei cibi, del loro sapore, della loro cottura, delle emozioni con cui l'individuo si approccia al cibo e della consapevolezza con cui li consuma.
Da un punto di vista personale dopo aver valutato il soggetto da un punto di vista costituzionale attraverso l'osservazione della sua morfologia, dei segni sul suo volto, della lingua, dell'iride, delle sue risposte neuromuscolari attraverso la kinesiologia applicata, propongo consigli alimentari, fitoterapici, floriterapici, aromaterapia, trattamenti di riflessologia plantare e auricoloterapia, sedute di yoga e meditazione terapeutica che ritengo essere più indicate in quel preciso momento per quel particolare soggetto."
Ramona Frisoni, naturopata e insegnante di yoga
Insieme possiamo fare veramente la differenza ed essere di supporto continuo e costante per gli utenti che ogni giorno si rivolgono a noi.
Non abbiate paura a chiedere aiuto.